SUCCESSIONE - Divario di valore fra quota di disponibile e beni attribuiti con testamento - Cass. civ. Sez. II Sent., 08-09-2021, n. 24169

SUCCESSIONE - Divario di valore fra quota di disponibile e beni attribuiti con testamento - Cass. civ. Sez. II Sent., 08-09-2021, n. 24169

L'istituito nella disponibile, qualora riceva con testamento beni di valore inferiore, per porre rimedio al divario fra quota e porzione, non ha un'azione assimilabile a quella di riduzione, che compete ai soli legittimari per la reintegrazione della quota di riserva, ma, nel concorso dei presupposti previsti dall'art. 763 c.c., può esercitare l'azione di rescissione per lesione, ammessa anche nel caso di divisione del testatore.

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice - Presidente -

Dott. COSENTINO Antonello - Consigliere -

Dott. TEDESCO Giuseppe - rel. Consigliere -

Dott. FORTUNATO Giuseppe - Consigliere -

Dott. VARRONE Luca - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 7781-2016 proposto da:

V.G., elettivamente domiciliata in Roma, Via Marco Menghini 21, presso lo studio dell'avv. Pasquale Porfilio, che la rappresenta e difende i virtù di procura speciale a margine del ricorso;

- ricorrente -

contro

R.O., V.P., V.L., elettivamente domiciliati in Roma, via Ludovisi 35, presso lo studio degli avv.ti Francesco Venditti, e Carlo Bartolini in forza di procura speciale a margine del controricorso;

- controricorrenti - ricorrenti incidentali -

avverso la sentenza n. 869/2016 della Corte d'appello di Roma, depositata il 10/02/2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 08/01/2021 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE. Tedesco;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Dott. Capasso Lucio, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

uditi l'avvocato Porfilio, per la ricorrente e l'avv. Bartolini, per i controricorrenti.

Svolgimento del processo

V.G., dopo la morte della madre D.N., ha chiamato in giudizio dinanzi al Tribunale di Roma il padre e coniuge della de cuius V.P., il fratello V.V. e i nipoti, figli di V., V.P. e V.L..

L'attrice, premesso che la defunta aveva disposto dei propri beni con testamento olografo, ha chiesto accertarsi la falsità di tale testamento o disporsene l'annullamento per incapacità naturale della testatrice. In subordine ha chiesto disporsi la riduzione delle disposizioni testamentarie perchè lesive della sua quota di riserva.

I convenuti si sono costituiti e hanno resistito alla domanda.

Il coniuge V.P., denunciando di essere stato pretermesso con il testamento, ha chiesto di essere reintegrato nei propri diritti di legittimario.

Il tribunale ha rigettato tutte le domande.

La Corte d'appello di Roma, adita con appello principale da V.G. e con appello incidentale dai convenuti, ha rigettato in toto l'appello principale.

Secondo la corte d'appello: a) il testamento della de cuius era autentico; b) non c'erano prove dell'incapacità della testatrice, nè permanente, nè transitoria; c) la stima dei beni relitti e donati, correttamente eseguita dal consulente tecnico, non faceva emergere la sussistenza di una lesione di legittima in danno di V.G., essendo quindi infondata la domanda di riduzione da questa proposta; d) i documenti, prodotti dalla medesima V.G. in grado d'appello, intesi a dimostrare l'esistenza di ulteriori cespiti mobiliari da comprendere nell'asse, erano inammissibili ai sensi dell'art. 345 c.p.c. La corte d'appello ha accolto l'appello incidentale proposto da V.V., nella parte in cui quest'ultimo aveva lamentato il rigetto della domanda di riduzione proposta dal padre V.P. domanda che egli aveva coltivato dopo la morte del genitore.

La corte d'appello ha rigettato l'appello incidentale proposto dai nipoti della de cuius, i quali avevano censurato la sentenza di primo grado perchè il primo giudice li aveva considerato eredi e non legatari. Essendo essi legatari e non eredi l'azione proposta da V.G. nei loro confronti era inammissibile, in difetto di accettazione dell'eredità con beneficio di inventario.

La corte d'appello ha confermato la decisione di primo grado laddove il tribunale aveva posto le spese della consulenza tecnica a carico di G., condannata altresì al pagamento delle spese del grado.

Per la cassazione della sentenza V.G. ha proposto ricorso, affidato a otto (ma in realtà) sette motivi.

V.P., V.L. e R.O., i primi due in proprio e quali eredi di V.V., la R. solo quale erede del medesimo V.V., hanno resistito con controricorso contenente ricorso incidentale, affidato a un unico motivo.

La ricorrente ha depositato memoria.

Motivi della decisione

1. Il primo motivo denuncia violazione degli artt. 591 e 602 c.c. e omesso esame di un punto decisivo della controversia.

Il motivo investe la decisione nella parte in cui la corte d'appello ha riconosciuto l'autenticità del testamento) olografo della de cuius e ha negato nello stesso tempo che la testatrice fosse incapace di intendere e di volere al momento di redazione della scheda.

Il motivo è infondato.

In quanto alla violazione dell'art. 602 c.c., è chiaro che essa non può essere ravvisata nel fatto che la Corte d'appello ha riconosciuto l'autenticità della scheda di cui l'attuale ricorrente aveva denunciato la falsità. Infatti, tale valutazione attiene alla ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa, che è un aspetto del giudizio esterno all'esatta interpretazione della norma e non rientra perciò nell'ambito applicativo dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 (Cass. n. 640/2019).

In ordine al dedotto difetto di capacità della testatrice viene in considerazione, naturalmente, l'ipotesi prevista nell'art. 591 c.c., comma 2, n. 3: c.d. incapacità naturale.

La corte d'appello, sulla scorta degli elementi di prova, ha innanzitutto negato che la testatrice fosse affetta da incapacità totale e permanente; ha del pari negato che l'attuale ricorrente avesse dato la prova che la testatrice fosse incapace al momento della formazione dell'atto.

Si legge nella sentenza impugnata che nella consulenza tecnica eseguita nella causa previdenziale, richiamata dall'appellante a sostegno della censura, non si trovava alcuna conferma del supposto "grave quadro di degrado psicomotorio in cui versava la paziente". Al contrario - si legge nella sentenza impugnata - "il consulente chiarì che la diagnosi di demenza senile a carico della de cuius comparve nella storia clinica un'unica volta pochi giorni prima della visita per il riconoscimento dell'invalidità civile. Successivamente a detta data non venne più registrata e lo stesso consulente rimarcò soltanto sintomi connessi a una grave cardiopatia e ad un insufficienza respiratoria. Del resto queste conclusioni sono avvalorate, come ha correttamente sottolineato il tribunale, dalla constatazione di alcuni dati che ancora di più non possono che far ritenere presente la capacità di intendere e di volere: nei documenti clinici successivi al 1996 la patologia di demenza senile non venne mai più diagnosticato alla de cuills, inoltre, proprio perchè non presente fu negato il beneficio previdenziale/assistenziale richiesto consistente nella pensione di invalidità e ciò è confermato dal predetto consulente anche nella causa previdenziale scaturita successivamente. Non c'è traccia poi di terapie somministrate per contrastare la presunta demenza e, inoltre, non è mai stato avviato un giudizio di interdizione che sarebbe stato indispensabile se la patologia di demenza fosse presente nei termini descritti dall'odierna appellante" Tali considerazioni sono coerenti con i principi della giurisprudenza della corte in materia: se non risulta uno stato di incapacità permanente, l'onere di provare l'incapacità, al momento della formazione del testamento, è a carico di chi ne chiede l'annullamento (Cass. n. 25053/2018; n. 3934/2018; n. 27351/2014).

Pertanto, è evidente che sotto la veste della violazione di legge, la ricorrente sia in ordine alla questione dell'autenticità del testamento, sia sulla questione del difetto di capacità, mira ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito: ciò in cassazione non è consentito (Cass., S.U., n. 34476/2019).

E' noto che oramai la ricostruzione del fatto è censurabile in cassazione secondo lo schema previsto dall'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, cioè attraverso la denuncia di un omesso esame di un fatto decisivo, primario o secondario. E' tale il fatto la cui considerazione avrebbe giustificato una decisione diversa da quella assunta con la sentenza impugnata (Cass. S.U., n. 8053/2014; n. 9253/2017; n. 37415/2018). Diversamente, nel caso di specie, il vizio di "omesso esame", pure formalmente richiamato nella rubrica del motivo, non è riferito a uno o più fatti, nel senso sopra indicato, ma al complesso delle censure che giustificavano i primi due motivi di appello, con i quali si voleva suffragare l'ipotesi che le condizioni cliniche della de cuius, da un lato, non potessero consentire di formare una scheda così perfetta, dall'altro, palesavano la condizione di incapacità naturale.

Ma è facile replicare che l'omesso esame di argomenti intesi a sostenere una censura non costituisce nè omesso esame di "fatti", nè tanto meno omissione di pronuncia (Cass. n. 16655/2011; n. 29883/2017; n. 2153/2020). In verità, l'insieme delle censure formulate con il motivo si atteggiano quale espressione di un mero dissenso rispetto alle valutazioni della corte di merito.

Nel motivo in esame, in verità, si menzionano alcuni certificati medici redatti dal medico curante, dei quali non si fa menzione nella sentenza. E' tuttavia chiaro che tale mancata considerazione, nell'ambito della complessiva ricostruzione, non dà luogo al vizio di omesso esame di un fatto decisivo ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5: " l'omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie" (Cass., S.U., n 8053/2014 cit.).

D'altronde, già vigore del testo precedente dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 si chiariva che il disposto della norma "non conferisce alla Corte di cassazione il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico-formale e della correttezza giuridica, l'esame e la valutazione data dal giudice del merito al quale soltanto spetta individuare le fonti del proprio convincimento, e, in proposito, valutarne le prove, controllarne l'attendibilità e la concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, senza che lo stesso giudice del merito incontri alcun limite al riguardo, salvo che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, non essendo peraltro tenuto a vagliare ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e le circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, risultino logicamente incompatibili con la decisione adottata (Cass. n. 9234/2006).

2. Il secondo motivo denuncia violazione dell'art. 873 c.c., del D.Lgs. n. 380 del 2001, del D.M. 2 aprile 1968 n. 1444, del D.M. 16 gennaio 1986, del D.M. 18 gennaio 1996 (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) e omesso esame di un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5).

Il ricorrente si duole perchè la corte d'appello ha valutato uno degli immobili compresi nell'asse (indicato nella sentenza come cespite (OMISSIS)) come civile abitazione, nonostante l'accatastamento del medesimo quale magazzino. Si sostiene che l'immobile non aveva i requisiti richiesti per ottenere l'agibilità; si evidenzia che la soluzione suggerita dal consulente tecnico, di pervenire a un cambio di destinazione d'uso, sfruttando la striscia di terreno pertinenziale del cespite, non era percorribile, essendo tale terreno inedificabile, tenuto conto della normativa sulle distanze fra fabbricati con pareti finestrate, fra costruzioni in zona sismica e fra strade.

Il motivo è infondato. Si legge testualmente nella sentenza impugnata: "riguardo a quest'ultimi cespiti l'appellante ritiene che il consulente avrebbe errato considerando edificabili dette arie che non lo sono. In risposta il consulente ha confermato la stima effettuata nella c.t.u. allegando la dichiarazione rilasciata dal Comune di Marcellina in cui si può rilevare che il terreno in esame è edificabile; non sussistono poi problematiche circa la geometria delle particelle catastali e alle distanze tra strada nonchè con il confine con la proprietà perchè a messa anche l'edificazione sul confine in aderenza. La conferma della correttezza dell'impostazione della relazione può rinvenirsi nel fatto che il terreno di cui al cespite (OMISSIS) è stato valutato come pertinenza di abitazione e non di magazzino proprio nella considerazione che lo stesso terreno può essere edificato con destinazione d'uso abitativa, di talchè non rileva la destinazione del cespite e (OMISSIS) (catastalmente individuato quale magazzino ma nella sostanza è una civile abitazione)".

In tali considerazioni non si riavvisa alcuna violazione di norme, ma esercizio del potere del giudice di merito di procedere alla ricostruzione del fatto sulla base delle prove assunte. Gli elementi proposti nel motivo a sostegno della censura sono stati considerati dalla corte d'appello, la quale ha riconosciuto che non pregiudicassero la edificabilità dell'area riconosciuta dal consulente. Ancora una volta non si denuncia nè una violazione di legge, nè un omesso esame di un fatto, ma si censura la ricostruzione della corte d'appello in quanto tale: ciò in cassazione non è consentito (sopra).

Si ricorda, per completezza di esame, che la stima dei beni deve tenere conto di tutti i fattori idonei a comporre il valore del bene, inclusi anche le potenzialità (Cass. n. 4251/1980; n. 471/1976); inoltre la scelta del criterio di stima rientra nel potere esclusivo del giudice di merito, la cui valutazione è insindacabile in sede di legittimità, se sostenuta, come nella specie, da adeguata e razionale motivazione (Cass. n. 7059/2002).

3. Il terzo motivo denuncia violazione dell'art. 345 c.p.c. e omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio.

La sentenza è censurata perchè non è stata ammessa la produzione documentale operata in grado d'appello in base al rilievo che l'appellante non aveva dato prova di non aver potuto produrre i documenti nel giudizio di primo grado per causa ad essa non imputabile.

Si sostiene che la corte di merito, in questo modo, ha applicato l'attuale norma dell'art. 345 c.p.c., mentre nella specie, ratione temporis-, doveva trovare applicazione il testo previgente della norma: non sono ammessi nuovi mezzi di prova, salvo che il collegio non li ritenga indispensabili ai fini della decisione.

Il motivo è fondato. Il giudizio d'appello è stato introdotto nel 2010, mentre la citazione in primo grado risale al 2002. Si applicava quindi l'art. 345 c.p.c. nel testo introdotto dalla L. n. 69 del 2009, art. 46 applicabile ai giudizi pendenti in primo grado al 4 luglio 2009 stessa L. n. 69 del 2009, ex art. 58 (Cass. n. 10790/2017).

In quanto al requisito della indispensabilità, i documenti erano intesi, secondo quanto risulta dalla stessa sentenza, alla ricostruzione dell'asse, mediante inserimento di cespiti mobiliari.

I documenti, pertanto, avrebbero dovuto costituire oggetto di valutazione, in applicazione del principio secondo il quale "nel giudizio di reintegra nella quota di riserva e di divisione dell'asse ereditario, non costituisce domanda nuova, e pertanto inammissibile ai sensi dell'art. 345 c.p.c., la richiesta diretta a ricomprendere nel relictum i beni oggetto di una determinata donazione; trattasi infatti di questione da risolvere incidentalmente e anche d'ufficio ai soli fini dell'esatta ricostruzione del relictum e la richiesta integra pertanto una mera sollecitazione del potere - dovere del giudice di decidere, è implicitamente contenuta nella domanda introduttiva, non amplia il thema decidendum e non soggiace pertanto alle preclusioni previste per le domande nuove" (Cass. n. 4698/1999; conf. n. 13385/2011; 26741/2017).

Si impone, perciò, in relazione a tale motivo la cassazione della sentenza e il giudice di rinvio dovrà verificare la produzione in base al principio di cui sopra.

4. Il quarto motivo (identificato erroneamente come V motivo) denuncia violazione degli artt. 457, 459, 556, 557, 737 e 2697 c.c. e degli artt. 115, 329 e 346 c.p.c. e omesso esame di un punto decisivo della controversia.

Con il motivo si propongono due diverse censure: a) una si riferisce all'accoglimento della domanda di riduzione delle disposizioni testamentarie già proposta da V.P. (coniuge della defunta), che la corte d'appello ha ritenuto proseguita dagli eredi con l'appello incidentale; b) l'altra al rigetto della propria domanda di riduzione.

Con la prima delle due censure si sostiene che la corte di merito avrebbe pronunciato ultra petita, perchè, con l'appello incidentale, non fu proposta una domanda di riduzione, ma di petizione ereditaria, come risulta dal tenore delle conclusioni: "dichiarare che V.P. marito della de cuius ha diritto come legittimatio pretermesso ad un quarto del patrimonio".

La censura è manifestamente infondata.

Il coniuge, in quanto escluso dal testamento, non era nè erede, nè chiamato all'eredità della moglie. Il principio acquisito che colui che agisce in giudizio per il riconoscimento del diritto a conseguire la quota di riserva, che assume lesa da una donazione fatta dal de cuius, esperisce un'azione di riduzione, di natura personale e quindi soggetta al termine ordinario di prescrizione, decorrente dal momento dell'apertura della successione, e non una petitio bereditatis, poichè il legittimario pretermesso non è chiamato alla successione per il solo fatto della morte del de cuius, potendo acquistare i suoi diritti solo dopo lo esperimento delle azioni di riduzione o di annullamento del testamento, ovvero dopo il riconoscimento dei suoi diritti da parte dell'istituito (Cass. n. 5731/1988; n. 25441/2017; n. 368/2010).

Consegue che la rivendicazione del quarto di patrimonio, pari alla quota di riserva, costituisce domanda che il coniuge (o l'erede di lui, subentrato nella titolarità dell'azione di riduzione) proponeva nella qualità di legittimario preterito; essa conteneva, in sè, l'esercizio dell'azione di riduzione nei confronti degli eredi testamentari.

L'esercizio dell'azione di riduzione non richiede formule sacrali (Cass. n. 17926/2020).

5. La seconda parte del motivo, riguardante il rigetto della domanda di riduzione proposta dall'attuale ricorrente, è assorbita dall'accoglimento del terzo motivo. Invero, qualora dai documenti prodotti, così come sostiene la ricorrente, dovesse emergere l'esistenza di nuovi cespiti, ciò comporterebbe la necessità di operare ex novo il calcolo della legittima e i conteggi, potendone quindi, in astratto, derivare un diverso esito della riduzione.

Identicamente l'accoglimento del terzo motivo comporta l'assorbimento del quinto motivo (identificato nel ricorso come VI motivo), inteso a censurare la decisione per avere la corte di merito accolto la domanda di riduzione proposta dal coniuge del defunto e proseguita da uno degli eredi di lui.

Sono altresì assorbiti il settimo e l'ottavo motivo (ma in effetti sesto e settimo) riguardanti la regolamentazione delle spese di lite e della consulenza tecnica.

6. L'unico motivo del ricorso incidentale denuncia violazione degli artt. 587, 1362 e 542 c.c. Si evidenzia che ai nipoti la testatrice ha lasciato la quota disponibile, pari a un quarto della massa, mentre i beni loro attribuiti in concreto con il testamento erano di valore inferiore. La corte d'appello, una volta operata la riduzione a favore del coniuge in danno dei due figli, avrebbe dovuto ulteriormente diminuire le porzioni dei figli per consentire di eguagliare quanto lasciato dalla testatrice ai nipoti.

Il motivo è infondato.

L'istituito nella disponibile, qualora riceva beni di valore inferiore, non ha un'azione, assimilabile a quella di riduzione, per porre rimedio a tale divario. Egli si trova nella posizione dell'erede istituito in quota astratta, al quale il testatore abbia poi lasciato nella divisione beni di valore inferiore a tale quota. Ebbene a tale divario di valore fra quota e porzione non si pone rimedio con l'azione di riduzione, che compete ai soli legittimari per la reintegrazione della quota di riserva, ma, nel concorso dei presupposti previsti dall'art. 763 c.c., con l'azione di rescissione per lesione, ammessa anche nel caso di divisione del testatore (Cass. n. 6449/2008; n. 37/1969).

Tale azione non è stata proposta.

7. In conclusione, è accolto il terzo motivo del ricorso principale; sono rigettati il primo e il secondo e, nei limiti di cui sopra, il quarto motivo; sono assorbiti la restante censura del quarto motivo e gli altri motivi dello stesso ricorso principale.

E', rigettato il ricorso incidentale.

La sentenza è cassata in relazione al motivo del ricorso principale accolto, con rinvio ad altra sezione della Corte d'appello di Roma anche per le spese.

Ci sono le condizioni per dare atto D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 13, comma 1-quater, della "sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti incidentali, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto".

P.Q.M.

accoglie il terzo motivo del ricorso principale; rigetta il primo, il secondo e, nei limiti di cui in motivazione, il quarto motivo del ricorso principale; dichiara assorbiti il quarto motivo (nei limiti di cui in motivazione) e i restanti motivi del ricorso principale; rigetta il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo del ricorso principale accolto; rinvia ad altra sezione della Corte d'appello di Roma anche per le spese; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione seconda civile della Corte suprema di cassazione, il 8 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 8 settembre 2021


Avv. Francesco Botta

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